AttualitàHomePolitica

CASO CUCCHI, MEDICI TUTTI ASSOLTI IN APPELLO. È MORTO DI RAFFREDDORE?

stefano-cucchiStefano Cucchi è morto di raffreddore? Potrebbe essere anche questo l’epilogo della vicenda investigativa e giudiziaria che va avanti ormai da oltre sei anni e che oggi ha visto compiersi un ulteriore passo verso il nulla. E tutto questo mentre sembra di nuovo destinato ad arenarsi il pdl per il reato di tortura.

I giudici della Corte d’Appello hanno infatti confermato l’assoluzione dei 5 medici che hanno avuto in cura Stefano Cucchi nell’ospedale Pertini di Roma dopo l’arresto e il pestaggio subito. Dopo oltre tre ore di camera di consiglio la terza Corte di Assise d’appello della capitale ha definitivamente assolto i cinque medici che hanno avuto in cura Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato il 15 ottobre 2009 perché trovato in possesso di sostanze stupefacenti e morto una settimana dopo in ospedale per le conseguenze delle lesioni riportate in un terribile pestaggio. Secondo l’accusa, Cucchi non sarebbe stato curato in Ospedale e avrebbe potuto invece essere salvato. Il Pg aveva chiesto di ribaltare la sentenza assolutoria di tutti gli imputati e condannarli per omicidio colposo a quattro anni di reclusione il primario, e a tre anni e mezzo ciascuno gli altri medici. Condannati in primo grado il 5 giugno 2013 per omicidio colposo (ma l’iniziale imputazione era quella di abbandono d’incapace), i medici furono poi assolti in appello con la formula che richiama la vecchia insufficienza di prove. Lo scorso dicembre, però, la Corte di Cassazione annullò quelle assoluzioni, disponendo un appello-bis, quello conclusosi oggi e che vede definitivamente assolti Aldo Fierro, il primario del reparto detenuti dell’ospedale Pertini e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo.

Intanto porprio in questi giorni si sta assistendo all’ennesimo scontro parlamentare sulla proposta di legge per istituire anche in Italia, così come nel resto d’Europa, il reato di tortura. Una scelta obbligata perché il 7 aprile del 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per i fatti della scuola Diaz durante il G8 di Genova. Ricordiamo che in quella scuola, dopo l’irruzione delle forze dell’ordine nella notte del 21 luglio 2001, utilizzando anche prove false per giustificare l’irruzione, avvennero fatti gravissimi ai danni di ragazzi inermi che non avevano alcuna responsabilità negli incidenti avvenuti durante le proteste. Furono ore terribili di sopraffazione e violenza gratuita che un ufficiale di polizia definì una “macelleria messicana” utilizzando un’espressione usata dalla stampa per descrivere i fatti della rivoluzione messicana e nel ’45 da Ferruccio Parri per condannare Piazzale Loreto. Il giorno dopo il presidente del Consiglio, Matteo Renzi in uno dei suoi consueti tweet, si impegnò a far approvare in Parlamento il ‘reato di tortura’, esaudendo così una promessa del nostro Paese alle Nazioni Unite risalente a quasi trent’anni prima.

Il provvedimento, già approvato in prima lettura sia dal Senato sia dalla Camera fra marzo 2014 e aprile 2015, si è arenato nelle secche della commissione Giustizia di Palazzo Madama presieduta da Francesco Nitto Palma (Forza Italia). Successivamente se ne sono perse anche le tracce perché è proprio scomparso dall’ordine del giorno della stessa commissione. Il ddl è ritornato in discussione al Senato, ma ancora una volta ha dovuto fare i conti con il blocco, trasversale anche alla maggioranza di Governo (Alfano) della destra. Il reato di tortura, così come previsto dalla pdl all’esame del Senato – hanno detto i capigruppo del centrodestra nel corso di un incontro di questa mattina a Palazzo Chigi – rischia di mettere in difficoltà le forze dell’ordine in un momento particolarmente delicato per la lotta al terrorismo. A sollevare la questione sono stati Renato Brunetta (FI) e Fabio Rampelli (Fdi).

“C’è un errore di formulazione del testo, che penalizza le forze dell’ordine”, ha sostenuto Rampelli secondo cui per il reato dovrebbe essere stabilita una reiterazione del fatto. Insomma come dire che non basta torturare una volta, ma bisogna averlo fatto più volte per essere puniti. E così il caso Cucchi, ad esempio, non potrebbe rientrare in quelli previsti dalla legge.

Matteo Renzi, a quanto riferiscono i presenti, non ha replicato nel merito mentre il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, si è detto pronto a discutere del testo sulla tortura con i capigruppo, ma le sue parole sono state lette da alcuni dei presenti come un’apertura a modifiche o rinvii della legge. Anche le parole usate dal ministro sembrano suggerire uno scarso, o nullo entusiasmo per la legge: ‘Non dobbiamo dare segnali distonici sulla polizia’ ha detto nel suo intervento davanti ai capigruppo e dobbiamo invece ‘togliere elementi di divisione tra le forze politiche’. Comunque Alfano si è impegnato a trovare soluzione…
Morale: c’è il rischio concreto che la questione finisca nelle secche parlamentari tra una modifica e l’altra e questo non sarebbe neppure sorprendente visto che l’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo, tra quelli considerati civili, dove gli agenti che intervengono per l’ordine pubblico, non sono identificabili con certezza perché non portano numeri di matricola e reparto di appartenenza né sulla divisa né sul casco. E anche grazie a questo se il processo per i fatti di Genova si è risolto con molte assoluzioni e tante condanne irrisorie.

Quanto al reato di tortura il relatore del disegno di legge, il senatore del Psi Enrico Buemi, ha spiegato che “c’è bisogno di dare all’Italia una legge in questo campo”. Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, due settimane fa a sua volta aggiungeva: “La proposta di introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale è di una rilevanza eccezionale e andrebbe a colmare una lacuna gravissima presente nel nostro ordinamento giuridico”. “L’Italia nel lontano 1988 ha preso un impegno con le Nazioni Unite ratificando il Trattato contro la tortura per sanzionare efficacemente proprio i comportamenti costituenti tortura. Da allora – prosegue Gonnella – nulla è accaduto. In Italia non vi è il reato. Siamo divenuti spazio di impunità e luogo di rifugio per chi commette all’estero tale crimine lesivo della dignità umana”. “Chiediamo pertanto ai senatori – conclude il presidente di Antigone – di fare quanto nelle loro facoltà affinché si arrivi nel più breve tempo possibile alla sua approvazione in via definitiva evitando il ping pong parlamentare e dando via libera al testo licenziato dalla Camera dei Deputati nell’aprile 2015 mettendo da parte le modifiche apportate in commissione giustizia del Senato che, oltre ad allontanare l’approvazione definitiva, presentano diverse e significative criticità”.

mader
Fonte: Avantionline