AttualitàHomePolitica

DITE A SALVINI CHE TUTTI I DISASTRI SU IMMIGRAZIONE E PROFUGHI SONO FIRMATI ANCHE LEGA. IL VERO PROBLEMA È LA BOSSI-FINI

Trattato di Dublino, legge Bossi-Fini, emendamenti alla convenzione Sar e Solas. Segnatevi queste tre norme, perché – scrive Francesco Cancellato su Linkiesta.it – sono loro all’origine di tutto ciò che non funziona nell’attuale gestione dei richiedenti asilo in arrivo dall’Africa, e più nello specifico nella tragica vicenda della nave Aquarius, bloccata nella crisi diplomatica tra Italia e Malta e ora, pare, diretta in Spagna. Tre norme che, curiosamente, sono state tutte approvate tra il 2001 e il 2004. Anni in cui al governo c’era Silvio Berlusconi, insieme ad Alleanza Nazionale e – udite udite! – alla Lega Nord.

E insomma, è curioso che siamo proprio loro, gli incendiari di allora, a essere stati chiamati a gran voce dall’elettorato italiano per spegnere il fuoco. È curioso, ad esempio, che Salvini sbraiti contro la Convenzione di Dublino, ratificata nel 2003, secondo cui il primo Stato membro in cui vengono memorizzate le impronte digitali o viene registrata una richiesta di asilo è responsabile della richiesta d’asilo di un rifugiato. Già allora non ci voleva un genio per capire che un simile regolamento sarebbe stato un problema per i Paesi di confine, soprattutto quelli che affacciano sul Mediterraneo, in caso di crisi umanitarie. Tant’è, i nostri eroi l’hanno ratificata lo stesso.
Quel che si recupera in prossimità delle coste maltesi – come i naufraghi salvati sull’Aquarius – sbarca comunque in Italia, e sbarca col foglio di richiesta di asilo politico, perché solo così si può entrare, e tocca all’Italia occuparsene, perché così hanno deciso Berlusconi, Bossi e Fini. O se preferite, Forza Italia, la Lega e Alleanza Nazionale.
Nessuno, in effetti, l’aveva pensato. Ma i nostri prodi governanti di allora avrebbero dovuto immaginarlo. Il 30 luglio 2002, pochi mesi prima, era infatti entrata in vigore la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, la quale vincolava il permesso di soggiorno in Italia con un lavoro effettivo. Tradotto: se non ti chiamava qualcuno, in Italia non ci potevi entrare. A meno che. A meno che non ti definisci, per qualche motivo, richiedente asilo politico. Risultato? Il numero dei rifugiati cresce di anno in anno, soprattutto negli ultimi tre, e il motivo è piuttosto semplice: se vuoi sperare di arrivare ovunque in Europa l’unico modo che hai per non farti rimandare a casa è fare richiesta di asilo umanitario. Del resto, se la porta d’accesso è una sola, la macchina si ingolfa e possono passare anni prima che una richiesta sia accettata o meno, e i richiedenti asilo si accumulano, di anno in anno.
E sapete perché si accumulano? Perché l’anno dopo ancora i nostri eroi forza-leghisti si inventano un altro capolavoro e nel 2004 ratificano due emendamenti alle convenzioni Sar e Solas secondo i quali l’obbligo di fornire un luogo d’approdo sicuro per i naufraghi “ricade sul Governo contraente responsabile per la regione Sar in cui i sopravvissuti sono stati recuperati”. Ratificano, e probabilmente nessuno spiega loro che il fatto che la piccola isola di Malta non ratifichi sia in realtà un problema enorme, perché la sua area di search & rescue (cerca e salva) è immensa, rispetto alla sua superficie. Tradotto: quel che si recupera in prossimità delle coste maltesi – come i naufraghi salvati sull’Aquarius – sbarca comunque in Italia, e sbarca col foglio di richiesta di asilo politico, perché solo così si può entrare, e tocca all’Italia occuparsene, perché così hanno deciso Berlusconi, Bossi e Fini. O se preferite, Forza Italia, la Lega e Alleanza Nazionale.
Sì, gli stessi che oggi si stringono a coorte col titolare del Viminale, nella sua strenua battaglia contro la nave Aquarius, le sue 629 anime, le organizzazioni non governative battenti bandiera di Gibilterra, i buonisti di sinistra, gli editorialisti radical chic. Non diteglielo, a Matteo Salvini, che il vero nemico, la causa di tutti i suoi crucci, ce l’ha davanti. Allo specchio.
Proviamo a dire un’altra verità lapalissiana, però. Che quella norma è sbagliata. E non perché sia contraria a qualsivoglia principio morale: molto banalmente, perché non ha mai funzionato. Anche in questo caso le evidenze abbastanza incontrovertibili. Ne dà testimonianza, ad esempio, un articolo de Il Messaggero del 27 maggio del 2008 che arriva a imputare proprio alla Bossi-Fini il crollo delle espulsioni in Italia. Dice l’articolo, citando un grafico del ministero degli Interni sugli immigrati espulsi dal 1984 al 2006, che il picco delle espulsioni coincide con l’anno 2002, l’ultimo prima dell’applicazione della legge. E che, da allora in poi, le espulsioni, anziché aumentare si sono dimezzate nel giro di quattro anni. Ancora oggi, a distanza di una decina d’anni, le cose vanno più o meno così. Dice, l’articolo, che “Inasprire la legge, ha portato a un suo allentamento pratico”, poiché accompagnare le persone alla frontiera era materialmente impossibile, se non a prezzo di costi altissimi.
La diciamo senza giri di parole: volete tenervi la Bossi-Fini? Applicatela, e non lasciatela lì a far da feticcio della vostra intransigenza. Non riuscite ad applicarla, o non la volete applicare perché credete sia contraria ai principi su cui si fonda l’umanità, che abbia più senso spendere i soldi per includere, anziché per respingere? Cambiatela. I numeri e i soldi per fare una o l’altra cosa ci sono e ci sono sempre stati.
E diciamone un’altra ancora, già che ci siamo: che promettere di rimpatriare i migranti “a casa loro” vale tantissimo a livello elettorale, ma costa tempo e soldi. Una recente indagine di EuObserver su circa 100 operazioni di rimpatrio tra l’inizio del 2015 a ottobre 2016, ha stimato un costo medio di 5.800 euro a migrante. È una stima approssimativa, sia chiaro: ma se lo moltiplichiamo per tutti i migranti per i quali è stato emesso un foglio di via in Europa arriviamo rapidamente a 1,7 miliardi di euro all’anno. Tanto? Sì, ma non tantissimo se si pensa alle sparate da campagna elettorale dei nostri pseudo-candidati premier. Allora, perché non si rimpatriano tutti questi migranti che qua non ci dovrebbero stare? Perché nel 2016, in Europa, su 305.365 ordini di espulsione solo la metà (cioè 176.223) si sono concretizzati con il ritorno a casa dell’immigrato irregolare? Perché in Europa ci sono più di due milioni di persone delle quali le autorità non sanno praticamente nulla?
Vi diamo la risposta, altrettanto banale: perché è diffcilissimo. Perché mancano accordi bilaterali coi Paesi in cui queste persone dovrebbe ritornare. E perché manca pure la volontà politica di concentrare lì tempo e risorse delle forze dell’ordine. La prova regina? Il decreto legge 89/2011 emanato dal governo Berlusconi ha ribaltato questa consuetudine. All’espulsione forzata della Bossi-Fini ha sostituito l’allontanamento volontario da concordare con la persona espulsa, a cui viene semplicemente dato un periodo di tempo entro cui lasciare l’Italia (nel caso dei migranti parliamo spesso di 7 o 15 giorni). Come ha ricordato Carlotta Sami, portavoce per l’Europa meridionale per l’agenzia ONU per i rifugiati, “con le espulsioni gli Stati membri intimano agli irregolari di lasciare il paese, ma poi quasi mai questi si allontanano. Con i rimpatri invece il migrante viene effettivamente riportato nel paese d’origine. Senza accordi di riammissione non si muove nulla”.