Per la quinta volta l’Aula del Senato ha respinto le dimissioni del senatore, ex Movimento 5 Stelle M5S, Giuseppe Vacciano. I sì sono stati 90, i no 120 e 7 gli astenuti. Però l’umore non è certo dei migliori. “Come mi sento? Non so se sono più demoralizzato o depresso”, risponde senza troppi giri di parole. Di fatto, sono due anni che il Senato lo tiene prigioniero. La prima volta che Vacciano ha provato a dimettersi era il 17 febbraio 2015. Sembrava una formalità, in un Paese in cui mediamente non si dimette nessuno. E invece l’Aula votò contro. Così come ha fatto pure il 16 settembre dello stesso anno e poi ancora il 13 luglio 2016, il 25 gennaio 2017 e infine oggi.
“Il ‘fronte del no’ alle mie dimissioni è trasversale – rivela il parlamentare campano –. C’è una parte del Pd, una di Forza Italia… Ho spiegato a tutti il perché del mio passo indietro, e l’essere passati da una quarantina a 90 sì è già qualcosa, anche se, com’è ovvio, non è sufficiente”. Chiaro che dietro a questo vero e proprio “accanimento” vi sia un calcolo politico. L’uscita di Vacciano rafforzerebbe infatti la pattuglia grillina in un’Aula in cui per la maggioranza i numeri sono ballerini. Col rischio però di far entrare Vacciano nel guinness dei primati in quanto a dimissioni rifiutate. “Non era mia intenzione entrare nel libro dei record parlamentari”, scherza per un attimo l’interessato prima di tornare serio: “Ho scritto cinque lettere e una trentina di solleciti, ho fatto discorsi pubblici e privati però, evidentemente, il mio atto politico risulta tutt’ora meno credibile di quello di Minzolini – dice –. Quel che è certo è che al Senato la logica non è di casa…”. Paradosso nel paradosso, pur avendo lasciato i 5 Stelle (“non condividevo più la linea di Grillo e Casaleggio e poi ho sempre detto che quella poltrona appartiene alla lista e non a me”) il senatore continua a seguirne seriosamente i dettami. Tanto da restituire la quasi totalità dello stipendio.
“Sono un dipendente della Banca d’Italia in aspettativa retribuita”, ricorda Vacciano, “perciò tranne il rimborso per le spese dei collaboratori do mediamente indietro tremila euro al mese. Una volta sono arrivato a restituirne anche ottomila o diecimila”. Nonostante le battaglie perse finora, Vacciano questa guerra è comunque intenzionato a vincerla. Scontata, quindi, la decisione di ripresentare la richiesta di dimissioni. “Lascerò passare qualche giorno ma stavolta – conclude – nella lettera che l’accompagnerà mi toglierò qualche sassolino dalle scarpe”. Insomma, “fosse anche solo un giorno prima della fine della legislatura, io dal Senato voglio dimettermi”. A questo punto, non resta che dire: in bocca al lupo.