INTERVENTO IN LIBIA NEL 2011: LA FIERA DELLE VERITÀ DI COMODO
Il dibattito che si è acceso sull’intervento italiano in Libia nel 2011 ha aspetti surreali. Anche perché, come al solito, la ragion di partito induce a straparlare. Dimenticando situazioni e condizionamenti. Da questo punto di vista, Matteo Salvini è il solito campione di bon ton, ma forse dovrebbe tacere anche Giorgia Meloni per non parlare di Ignazio La Russa che in questi anni sulla vicenda ha detto di tutto e anche di più. Il desiderio di scaricare sulle spalle di Giorgio Napolitano la responsabilità di una guerra che ha prodotto solo instabilità nel Mediterraneo, è tanto forte da sfidare l’impulso a contraddirsi. Una cosa è evidente: un intervento militare non può essere deciso da una persona sola, dunque Napolitano non può aver fatto tutto nel chiuso del suo laboratorio del Quirinale. Un’altra cosa è evidente: certe scelte sono figlie delle situazioni contingenti. In quel caso la situazione era stata determinata da Nicolas Sarkozy che, spalleggiato dalla Gran Bretagna, aveva cominciato a cannoneggiare la Libia per imporre su quell’area strategica dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici (petrolio e gas) la propria egemonia che aveva come corollario il ridimensionamento del ruolo dell’Italia.