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LE RIFORME 5 STELLE? IGNORANZA ISTITUZIONALE E VISIONE ZERO

Nei giorni scorsi, due episodi abbastanza sgangherati ci hanno detto molto sul livello di incultura istituzionale del M5S.

Il primo – scrive Vittorino Ferla su Linkiesta – è il goffo tentativo del candidato premier Luigi Di Maio di informare il Quirinale circa la propria proposta di squadra di governo. “Non so se è chiaro ma qui facciamo sul serio. E ovviamente prima di dire i nomi pubblicamente, informerò il Presidente della Repubblica”, ha dichiarato Di Maio. Siamo di fronte a una pretesa assurda – quella di informare Mattarella – che non soltanto non è prevista dalla Costituzione formale né da quella materiale, ma che rappresenta una mancanza di rispetto nei confronti del Presidente della Repubblica. Una vera e propria buffonata. Se questo è lo stile, dovremo aspettarci parecchie sbracature istituzionali nel caso dei 5S al governo.

Il secondo esempio è perfino più inquietante. Dopo un consiglio fiume di oltre sette ore, la maggioranza del consiglio del III Municipio di Roma ha votato la mozione di sfiducia alla mini-sindaca del M5S, Roberta Capoccioni, fedelissima della candidata governatrice Roberta Lombardi. La sindaca Raggi, però, ha provveduto immediatamente a delegare la Capoccioni come commissaria del Municipio, con un incarico da 40mila euro l’anno, fino alle prossime elezioni: il fine – ha detto la Raggi – è quello di “garantire la continuità amministrativa”. Uno ‘sbrego’ istituzionale notevole, censurato per superficialità e incompetenza dallo stesso Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale. E chissà quante altre ne vedremo…
La questione istituzionale in Italia e l’approssimazione del M5S
La legislatura che si sta concludendo – e che sembrava nata morta – sarà ricordata come una stagione di riforme importanti. Ovviamente, sarà possibile riconoscerlo soltanto più avanti, quando sarà passato il tempo sufficiente per favorire un’analisi obiettiva dei fatti. Viceversa – e possiamo dirlo fin d’ora – questa legislatura sarà anche ricordata per il fallimento dei progetti di riforma costituzionale, richiesti a gran voce per almeno trent’anni. Da ultimo, l’appello per rafforzare le istituzioni repubblicane rivolto dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alle Camere è caduto nel nulla. Il 4 dicembre 2016 il referendum costituzionale è stato respinto dagli italiani.
E adesso? Che cosa dobbiamo attenderci dal prossimo Parlamento? Difficile dirlo, anche perché, dopo il risultato referendario, l’insieme delle forze politiche nazionali preferisce glissare sulle grandi riforme. Tuttavia queste riforme sono più che mai necessarie. Il quadro confuso che molto probabilmente emergerà dalle elezioni del 4 marzo sarà lì a dimostrarlo nuovamente.
In linea teorica, il gruppo politico che dovrebbe avere nel dna un ardente desiderio di cambiamento del quadro politico e istituzionale del nostro paese ai fini di meglio garantire l’esercizio della democrazia e la tutela dei diritti dei cittadini è il M5S. Ma – come dimostra anche la letteratura internazionale sul tema – il Movimento che candida Luigi Di Maio a premier è anche la forza populista con il maggiore consenso nel nostro paese e, pertanto, bisognerà capire se il cambiamento promesso è reale e – se lo è – in quale direzione porta la nostra democrazia. L’analisi del programma “affari costituzionali” del M5S conferma in tutto le preoccupazioni sull’impronta populista del partito grillino.
Le mani nel portafoglio per lottare contro le élites
Al primo punto del programma di ‘riforme’ costituzionali si trova il taglio ai costi della politica con la solita crociata contro i rimborsi e gli stipendi assegnati ai politici. Non c’è dubbio che il tema della lotta ai privilegi sia importante e che il ceto politico italiano si sia distinto per degli eccessi intollerabili. Su questo tutti i partiti politici sono chiamati a esercitare maggiore responsabilità e a darsi regole coerenti. Tuttavia, la centralità dell’argomento per i pentastellati li inserisce a pieno titolo in quel movimento populista internazionale che si caratterizza, appunto, per la distinzione manichea tra una società civile pura e una classe politica di corrotti, con la conseguente battaglia contro le élites e l’establishment. E’ evidente che l’esercizio della critica nei confronti di chi ricopre ruoli di potere rappresenti uno dei fondamenti della democrazia. Qui non si discute, pertanto, di questo, ma dello schema ideologico sottostante alla dicotomia “popolo vs élite” che caratterizza i populismi a livello internazionale e i Cinque Stelle in Italia; uno schema ideologico in cui la dicotomia diventa totalizzante e i populisti diventano gli esclusivi rappresentanti di questa alternativa, tutte le altre forze politiche essendo – nella loro opinione – parte della ‘casta’.
Infine, occorre rilevare che la battaglia permanente contro i partiti tradizionali, ritenuti tutti mafiosi e corrotti, alla lunga avrà certamente l’esito di un progressivo e crescente tracollo della fiducia nelle istituzioni. Questa cosa non può passare inosservata e, piuttosto, occorrerebbe lanciare un allarme prima che la sistematica alimentazione del rancore contro l’establishment travolga definitivamente le nostre istituzioni.
Il controllo organico dei parlamentari tramite vincolo di mandato
Il corollario di questa crociata è, poi, l’introduzione del vincolo di mandato. Anche se non è citato esplicitamente, il vincolo di mandato riemerge nel programma dei Cinque Stelle “allo scopo di fermare i voltagabbana in Parlamento”. L’idea è quella di “modificare i regolamenti parlamentari per far si che i Gruppi siano composti solo da forze politiche presentatesi alle elezioni”. In più dovrebbe prevedersi “una penalizzazione, in termini di riduzione di risorse economiche e di personale, di coloro che, nel corso della legislatura, decidano di abbandonare la forza politica con cui siano stati eletti” allo scopo di “ridimensionare la loro capacità d’incidere sulle procedure parlamentari”.
Anche in questo caso, nessuno può negare che il trasformismo e i cambi di casacca siano spesso operazioni censurabili sia dal punto di vista etico che politico. Tuttavia, la libertà del parlamentare nell’esercizio del suo mandato rappresenta un valore ancora più importante. Esso è fondato sul principio di civiltà liberale secondo il quale l’eletto rappresenta i cittadini senza vincolo di mandato e risponde in prima persona delle sue responsabilità di fronte ai suoi elettori. Il meccanismo proposto dal M5S, viceversa, mina le radici di questa libertà riducendo l’eletto a essere un semplice megafono di una organizzazione politica. Una deriva di ispirazione autoritaria che va in direzione opposta all’ispirazione liberaldemocratica della nostra Costituzione.
A questi argomenti se ne aggiunge un altro, determinante. Nel contesto politico-parlamentare – soprattutto in quello di impronta proporzionalista – un certo tasso di ‘trasformismo’ può diventare indispensabile per garantire il funzionamento delle istituzioni e, in particolare, la composizione di una maggioranza di governo. Ancora una volta la rigida logica moralista e populista pentastellata entra in contraddizione con la logica liberaldemocratica che favorisce, con pragmatismo, il corretto svolgimento delle attività parlamentari e di governo.
L’appello al popolo del peronismo all’italiana
Un altro passaggio cruciale nel programma costituzionale del M5S è quello dell’appello diretto al popolo attraverso una serie di strumenti di democrazia diretta come i referendum. Ovviamente, anche qui occorre distinguere.
Da una parte, c’è la sacrosanta necessità – propria di tutte le democrazie – di individuare modalità di espressione della volontà dei cittadini non mediate dalle istituzioni della democrazia rappresentativa, ma che sono giustamente complementari a queste. Favorire occasioni di partecipazione è un bene.
Dall’altra, però, c’è il duplice rischio di derive plebiscitarie e demagogiche (vedi l’idea di fare un referendum per ogni trattato europeo) o di consultazioni grottesche che di democratico hanno solo il nome (vedi la pantomima delle votazioni online sul blog di Beppe Grillo o).
La moltiplicazione di eventi elettorali e referendari e i ricorrenti appelli al popolo avrebbero, alla lunga, effetti devastanti: significherebbe deturpare l’equilibrio della nostra Costituzione e trasformare l’Italia in una repubblica peronista. In realtà, anche l’esercizio della democrazia diretta è un fatto complesso: c’è dunque il pericolo che a un intento apparentemente democratico possa alla lunga sostituirsi un progetto di pura e semplice manipolazione del consenso in chiave populistica.
La legge elettorale proporzionale e l’inganno delle preferenze
Per quanto riguarda il sistema politico-istituzionale, l’unica proposta degna di nota è la riforma della legge elettorale con il cosiddetto “Democratellum”. Il programma del M5S sintetizza così gli obiettivi della proposta: “1. ridare ai cittadini la possibilità di scegliere liberamente i propri rappresentanti; 2. rendere più stretto il rapporto tra eletti; 3. garantire che siano i cittadini a indirizzare le scelte politiche fondamentali attraverso un Parlamento rafforzato, capace di costituire un solido ponte tra società e Istituzioni; 4. assicurare una genuina governabilità del Paese mediante un’ elevata selettività del sistema elettorale, disincentivando la creazione di coalizioni fittizie a meri fini elettorali; 5. Eliminare fittizie e artificiose costrizioni bipolari”.
Una grande confusione nella mente riformatrice dei grillini. In primo luogo, il sistema proporzionale, per di più senza premio di maggioranza, è un moltiplicatore di quella frammentazione partitica che rende fragilissimo il Parlamento. Poi, sappiamo dalla Prima Repubblica (e, ancora oggi, dalla esperienza dei molti consigli regionali) che il sistema delle preferenze in un sistema proporzionale, lungi dal rafforzare la libertà di scelta dei cittadini, espone la vita pubblica al gioco delle correnti e al voto di scambio. Non a caso, all’inizio degli anni ’90 si tenne un referendum rivolto proprio alla abolizione delle preferenze.
Silenzio sulle riforme per coltivare il caos
In realtà, anche a causa dello stop subito a causa della sconfitta del referendum del 4 dicembre 2016, la questione istituzionale in Italia è ancora un nodo irrisolto. L’Italia ha bisogno di istituzioni più forti e moderne. E, soprattutto, ha bisogno di governi autorevoli che siano nelle condizioni di prendere decisioni e realizzare i propri programmi.
Ne ha bisogno almeno per due ragioni. Primo: per garantire l’attuazione delle politiche pubbliche (e, per questa via, rispondere meglio ai bisogni delle persone e tutelare meglio i diritti dei cittadini). Secondo: per svolgere un ruolo da protagonista insieme con i governi che guideranno le necessarie riforme volte ad una maggiore integrazione e modernizzazione dell’Europa.
Ebbene, su questo tema il programma affari costituzionali del M5S non dice nulla. Non è strano. I partiti populisti crescono in tutto il mondo in un contesto di debolezza delle istituzioni democratiche (salvo poi stringerle in una morsa illiberale una volta conquistato il potere). Basti pensare, oggi, alle difficoltà che attraversano non soltanto i paesi del sudamerica dove il populismo si è affermato proprio per le carenze dei sistemi politico-istituzionali, ma anche i paesi europei – la Spagna, la Germania, il Regno Unito – laddove la pressione dei populismi, pur non avendo conquistato il potere, sta mettendo sotto scacco la stessa struttura della democrazia in presenza di regole democratiche divenute insufficienti a garantire la stabilità e la forza dei governi. L’unico governo uscito rafforzato dalle urne è quello francese con l’elezione del Presidente Macron. Questo è accaduto non a caso: il sistema del semipresidenzialismo (con il collegamento tra la figura del presidente e la maggioranza parlamentare, con il doppio turno elettorale e con la sua impronta bipolare) è oggi in Europa quello più funzionale per il corretto svolgimento della vita democratica e per garantire ai governi condizioni di solidità e di continuità. Non è un caso, pertanto, che questo sistema sia visto dai Cinque Stelle come fumo negli occhi.
Fuori dall’Europa nel nome del nazionalismo
Ma c’è perfino di peggio. Punto chiave del programma pentastellato di riforme costituzionali è, infatti, ancora una volta, il sovranismo antieuropeo. Tra gli obiettivi prefissati dal Movimento 5 Stelle, si legge nel testo, “va annoverata la necessaria subordinazione a referendum popolare obbligatorio​, della ratifica dei Trattati”. La proposta è sconvolgente.
In primo luogo, disegna una adesione ‘intermittente’ dell’Italia all’Unione Europea con la conseguenza, così, di fare del nostro paese un free rider del percorso comunitario invece che un protagonista attivo. In secondo luogo, delegittima tutto il processo di negoziazione sui Trattati europei a partire dalla figura stessa dell’esecutivo nazionale che di queste negoziazioni è interprete riconosciuto dall’insieme degli ordinamenti costituzionali italiano ed europeo. In terzo luogo, espone ogni progresso comune dell’Europa a una ricorrente chiamata alle urne con la conseguenza di provocare una sistematica manipolazione plebiscitaria della volontà popolare.
A tutto ciò si aggiungono, poi, la proposta di modificare la norma costituzionale sul pareggio di bilancio e quella di eliminare il Fiscal Compact. La Costituzione italiana diventerebbe così uno strumento di nazionalismo economico, sempre più impermeabile alle politiche pubbliche europee. Non siamo soltanto di fronte ad uno sfregio della Carta nella parte in cui “si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” al punto che queste norme entrano a pieno titolo nell’ordinamento costituzionale prevalendo sulle nostre leggi ordinarie. Ma siamo anche alle porte di conseguenze rovinose per l’economia italiana.
In conclusione, è chiaro che il quadro istituzionale disegnato dal populismo pentastellato, sia in Italia che in Europa, rappresenta una minaccia di cui bisognerà tener contro alle elezioni del 4 marzo. Chi tiene alla democrazia liberale, al progresso europeo e alla società aperta dovrà darsi da fare per difendere il paese dall’approssimazione dei grillini.