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LE VIGNETTE DI RIMA: DI MAI IN PEGGIO, IN VITALIZIO COL MORTO

RiMa

Ieri, il vicepresidente della Camera del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, in conferenza stampa a Montecitorio coi colleghi Riccardo Fraccaro e Laura Castelli, ha attaccato la maggioranza per i ritardi nell’approvazione di una legge che dovrebbe ridurre i vitalizi degli ex parlamentari (i vitalizi non ci sono più per i parlamentari dall’attuale legislatura).

“Noi oggi andremo alla Ragioneria generale dello Stato, per chiedere a che gioco sta giocando. Porteremo anche il nostro studio di fattibilità. E chiederemo di sbloccare la relazione tecnica sull’abolizione dei vitalizi“, ha annunciato oggi  il vicepresidente della Camera e deputato M5s.

Di Maio ha citato una serie di casi di ex deputati che percepiscono vitalizi e che lui ritiene particolarmente gravi. Tra gli altri, ha citato Ilona Staller, Vittorio Sgarbi, Ombretta Colli ed Eugenio Scalfari. Alla lista ha aggiunto anche un altro nome:

“un certo Boneschi si è fatto un giorno in parlamento, prende 3.108 euro”.

Peccato che il “certo Boneschi” fosse l’avvocato Luca Boneschi, legale della famiglia di Giorgiana Masi, morto l’anno scorso. E dimessosi dopo un solo giorno in Parlamento.

E’ morto a 77 anni il 13 ottobre del 2016 Luca Boneschi, avvocato e giurista, oltre che militante e segretario dei Radicali, indicato da Luigi Di Maio come esempio di ex-parlamentare a cui il vitalizio non spettava.

Pur considerandolo ancora vivo, Di Maio non sbagliava. Boneschi deteneva il record di deputato rimasto in carica per meno tempo. Proclamato il 12 maggio 1982 in sostituzione del dimissionario Marcello Crivellini, la sua elezione e’ stata convalidata il successivo 13 maggio. Nello stesso giorno presentò anche le dimissioni, convalidate dall’aula.

Poche ore da deputato e 3.108 euro di vitalizio, lamenta Di Maio. Vero, e del resto previsto dalla legge di allora. Eppure a leggere lo stenografico dell’unico discorso in aula di Luca Boneschi, quello delle dimissioni, si apprende che alla base della scelta di dimettersi c’era una ragione nobile. La rinuncia all’immunità parlamentare.

Quando fu eletto Boneschi prestava da anni, insieme all’avvocato deputato Franco De Cataldo, patrocinio gratuito alla famiglia di Giorgiana Masi, la ragazza uccisa durante una carica della polizia sul ponte Garibaldi a Roma, il 12 maggio 1977. La famiglia chiedeva il processo per individuare i responsabili dell’assassinio. Ma dopo 4 anni di indagine il giudice aveva dichiarato non doversi procedere “per essere ignoti gli autori del fatto”, disse Boneschi in aula a Montecitorio in quell’unico discorso da deputato il 13 maggio 1982.

Ne seguì, raccontò lui stesso nel motivare le sue dimissioni da deputato, “un’istanza di riapertura del processo sempre davanti ai giudici romani che hanno sempre altre cose da fare. Ma, fuori dagli strumenti professionali veri e propri, io mi sono ribellato a quella decisione e ho criticato pubblicamente il giudice e le altre autorità implicate nella vicenda. Il giudice si è offeso e mi ha querelato”.

Da querelato, Boneschi decise di utilizzare il processo contro di lui per provare a smuovere il processo sulla morte di Giorgiana Masi. Di qui la scelta di non restare deputato per non godere dell’immunità.

Lui stesso spiegò: “Così finalmente nella vicenda giudiziaria per l’assassinio di Giorgiana Masi c’è almeno un imputato noto: l’avvocato della famiglia. Questo processo è già iniziato ma non concluso, anche se la sentenza è vicina: e io non voglio in nessun modo ritardare a un giudice e a me stesso il diritto ad avere giustizia. Sapendo per esperienza professionale che i meccanismi delle autorizzazioni a procedere non sono né certi né rapidi, scelgo di non metterli neppure in moto. Con una speranza: che questa mia non semplice né facile rinuncia serva a ricordare ai radicali e ai non radicali che per Giorgiana Masi giustizia non è stata fatta. Di fronte alla bancarotta della giustizia e all’oblio della politica a me resta questo modo per dire la mia solidarietà a Vittoria, Aurora e Angelo Masi”.

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Fonte: Dire