Da dove viene il capo politico Movimento 5 Stelle, partito da Pomigliano d’Arco e arrivato ad un passo dalla designazione a presidente del Consiglio. Lo illustra bene un articolo del sito IlPost del 30 settembre 2017.
All’ultima festa del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo ha messo in piedi un’elaborata cerimonia per proclamare il vincitore delle primarie di partito. Ha fatto salire un notaio sul palco della festa del Movimento a Rimini e una musica da reality show ha accompagnato il momento dell’apertura delle buste con il nome del vincitore; poi ha preso tempo prima di leggere il nome, scherzando su coloro che avevano partecipato alla competizione, quasi tutti degli sconosciuti. Alla fine ha proclamato che con più di 30 mila voti su 37 mila il vincitore era Luigi Di Maio, vice presidente della Camera e considerato da più di tre anni il dirigente più importante del Movimento. Di Maio è arrivato sul palco sotto una pioggia di coriandoli. Grillo gli ha dedicato una canzone accompagnato da una band sul palco. Una delle strofe iniziava così: «E ora tutti i cazzi sono tuoi».
La battuta di Grillo non sembra casuale. Da qualche anno non fa mistero del suo desiderio di tornare a una vita da uomo di spettacolo e parla spesso della fatica che gli costa il ruolo di capo politico del Movimento. Nel suo ultimo spettacolo, “Grillo contro Grillo”, mette costantemente in scena questa tensione ed è piuttosto divertente quando imita i militanti che lo chiamano continuamente per avere consigli o per chiedergli di risolvere le loro dispute interne. Con la stanchezza di Grillo nel Movimento è cresciuto il ruolo di Di Maio, trentunenne di Pomigliano d’Arco, già studente fuori corso, da tempo erede designato di Grillo pur essendone completamente diverso, sopravvissuto a un numero incalcolabile di errori, gaffe e agguati di una folta schiera di avversari interni al Movimento. Dotato di abilità politiche e moderato su quasi ogni argomento, Di Maio è allo stesso tempo il più giovane e il più vecchio di tutti i principali esponenti del Movimento.
Luigi Di Maio è nato e cresciuto nella periferia industriale di Napoli dominata dalla fabbrica della FIAT di Pomigliano. Antonio Di Maio, il padre, è stato un importante dirigente locale di Alleanza Nazionale e Di Maio ha iniziato presto a seguirne la strada. Cominciò a fare politica al liceo, dove si candidò come rappresentante di istituto e, racconta lui stesso, con la sua attività contribuì a far trasferire la sua scuola dalla vecchia sede fatiscente a un nuovo edificio appena realizzato. Dopo il liceo si iscrisse alla facoltà di Ingegneria all’università Federico II di Napoli, ma, come ha ammesso lui stesso, lo studio non faceva per lui. Da Ingegneria passò a Giurisprudenza e andò presto fuoricorso, finché non abbandonò del tutto gli studi; ha detto di aver avuto qualche sporadica esperienza lavorativa come webmaster, cameriere e manovale. Più che i libri, la sua passione continuava a essere la politica. Fondò un’associazione di studenti universitari, partecipò alle elezioni per il consiglio di facoltà e poi a quelle del suo comune con una lista civica.
Nel 2007 si iscrisse al Movimento 5 Stelle nel primo anno di vita della formazione politica di Grillo. A Pomigliano fu tra i fondatori del primo “Meetup”, la prima embrionale forma organizzativa con cui il Movimento si diede una struttura territoriale, e nel 2010 si candidò di nuovo al consiglio comunale nella lista del candidato sindaco grillino Luca Errico. Nella primavera del 2010 Beppe Grillo arrivò a Pomigliano per sostenere la candidatura di Errico e conobbe Di Maio. Nei video di quei giorni si vede Di Maio in prima fila accanto a Grillo, subito dietro Errico e quello che era allora candidato alla guida della regione, Roberto Fico, destinato a diventare il grande avversario di Di Maio dentro al Movimento.
Al comune di Pomigliano le cose non andarono bene: il Movimento 5 Stelle raccolse 500 voti, Di Maio appena 59. Restare fuori dal consiglio comunale, però, fu la sua fortuna. Due anni dopo quel voto, Grillo aprì le candidature per entrare nelle liste con cui il Movimento si sarebbe presentato alle elezioni politiche. Per partecipare era necessario aver già partecipato ad almeno un’elezione con il simbolo del Movimento 5 Stelle. Di Maio, che aveva partecipato e perso, poté candidarsi, così come fece Fico. Alle “parlamentarie”, il voto tra gli iscritti per decidere chi sarebbe entrato in lista e in quale posizione, Di Maio arrivò secondo in tutta la Campania con 189 voti, subito dietro Fico che nel prese 228. Furono candidati ai primi due posti della circoscrizione Campania 1, con la certezza di essere eletti.
In un partito in cui le dinamiche interne sono spesso opache, il più grande mistero nella carriera di Luigi Di Maio è quando esattamente Grillo ha deciso che avrebbe puntato su di lui. Dopo la visita a Pomigliano del 2010, ufficialmente i due non si sono più incontrati fino alle elezioni politiche del 2013. Alcuni indizi, però, fanno pensare che già prima delle elezioni Di Maio fosse piuttosto benvoluto da Grillo. Il 25 gennaio di quell’anno Di Maio diede un’intervista ad Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani: disse che era una sua iniziativa e che non aveva dovuto chiedere il permesso a Grillo per farsi intervistare. Negli stessi giorni, però, altri attivisti del Movimento venivano espulsi o duramente criticati per avere parlato con la stampa. Che abbia o meno ricevuto il permesso di Grillo, Di Maio comunque fu uno dei pochissimi candidati a farsi conoscere già prima delle elezioni e per farlo scelse un quotidiano moderato e cattolico.
Arrivato alla Camera, Di Maio impiegò poco a distinguersi dai suoi colleghi. I cronisti parlamentari sottolineavano come fin dal primo giorno Di Maio si presentasse in maniera diversa rispetto alla media dei parlamentari grillini: elegante e impeccabile nello stile, garbato e felpato nei modi. Il commento che si legge più spesso negli articoli di quei giorni è “sembra uno di Forza Italia”. Due settimane dopo l’insediamento, a metà del marzo 2013, Di Maio ottenne la seconda più importante vittoria nella sua carriera politica. In quei giorni i grillini dovevano decidere a chi assegnare le cariche parlamentari che spettavano al loro gruppo: gli erano stati assegnati un questore al Senato e il vicepresidente alla Camera. Di Maio raccontò così la sua elezione: «Arrivai tardi alla Sala della Regina, dove si selezionavano i candidati. La collega Vega Colonnese mi disse: “Proponiti tu”. Io la guardai e dissi di no. Ma lei non mollò: “Ogni volta che uno buono non si fa avanti, c’è uno meno buono che gli fa il posto”». Contro di lui si candidò Massimo Artini, deputato toscano espulso dal Movimento lo scorso novembre. Il discorso di Di Maio, racconta lui stesso, fu breve ma efficace: «Mi alzai e andai a parlare agli altri. Dissi semplicemente: “Non chiamerò mai più i deputati “onorevoli”. E fui eletto subito».
Insieme alla carica di vicepresidente Di Maio ottenne un ufficio, uno staff, l’opportunità di compiere viaggi istituzionali, di presiedere la Camera e di sostituire il presidente in occasioni formali. La carica, inoltre, non scadeva ogni tre mesi come quella di capogruppo e non era oscura e lontana dal pubblico come quella di questore. Quattro anni dopo non ci sono dubbi che l’elezione a vicepresidente della Camera fu un passo fondamentale per creare la sua immagine di “faccia istituzionale” del Movimento, e quindi in qualche modo il naturale candidato del partito alla presidenza del Consiglio.
Non è chiaro se Grillo si accorse subito delle potenzialità di Di Maio o se tra i due si era già formato un rapporto fiduciario da prima delle elezioni. Di fatto, nel giugno del 2013 Di Maio fu uno dei tre parlamentari autorizzati a farsi intervistare in televisione: i primi a poterlo fare senza venire cacciati dal Movimento. Negli stessi giorni vennero intervistati Nicola Morra e Roberto Fico. Gli attestati di stima e fiducia da parte di Grillo proseguirono nei mesi successivi, come quando scherzosamente disse: «Io imparo sempre da Di Maio, anche quando sta zitto». Poche ore dopo il sito TzeTze, l’organo semi-ufficiale del Movimento, riportava lo scambio tra i due dopo quella dichiarazione: «O sei uscito pazzo, Beppe, o sei invecchiato!», aveva scritto Di Maio a Grillo secondo il sito. «Dicevo sul serio», avrebbe risposto Grillo. Quando Matteo Renzi chiese la fiducia alla Camera fu proprio a Di Maio che indirizzò un biglietto conciliante, che Di Maio pubblicò su internet. A un anno esatto dalla sua elezione, Di Maio era già ampiamente considerato il principale leader del Movimento dopo Grillo e Casaleggio, l’uomo con cui era necessario trattare.
Da allora Di Maio è stato inserito in tutti gli organi – spesso effimeri – con cui Grillo ha cercato di dare una struttura al Movimento. È stato nominato responsabile degli enti locali, ha fatto parte del “direttorio” formato dai cinque più prominenti leader del partito e votato per acclamazione sul blog. Il favore di Grillo e Casaleggio, inoltre, ha protetto Di Maio da una serie di incidenti che con ogni probabilità sarebbero stati fatali alla carriera politica di qualsiasi altro grillino. Roma, in particolare, è sempre stata per lui una fonte di continue tribolazioni.
Nei complessi e mutevoli equilibri interni del Movimento, infatti, Di Maio è considerato uno dei più solidi alleati della sindaca Virginia Raggi, al punto che i giornali hanno spesso scritto che per la sindaca Di Maio è l’unico referente nel partito, l’unico con cui si consiglia e a cui risponde, a parte Grillo e Casaleggio. L’imbarazzo più grave che gli ha procurato questa amicizia risale al settembre 2016, quando venne fuori che Di Maio era stato avvertito dell’indagine che riguardava l’allora assessore all’ambiente Paola Muraro, ma che aveva appositamente tenuto nascosta la notizia. Di Maio tentò una difesa poco convincente e fu messo in secondo piano nel corso di alcuni incontri pubblici con Grillo. Poi, nel giro di un paio di mesi, l’episodio fu dimenticato e Di Maio tornò a occupare il centro della scena politica grillina. Di Maio è anche indagato per diffamazione nei confronti dell’ex candidata del Movimento 5 Stelle a Genova, Marika Cassimatis, ma anche questo non ha ostacolato la sua ascesa politica, al contrario di come sarebbe probabilmente capitato ad altri esponenti del partito.
Politicamente Di Maio è un moderato che ha sempre occupato il centro dello spettro politico grillino. Sul tema dell’immigrazione, per esempio, è stato uno dei primi a spostare le posizioni del partito verso destra, appoggiando le dichiarazioni del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro sui rapporti tra ONG e trafficanti di esseri umani. Di Maio è stato anche tra i primi a incrinare la linea intransigente del Movimento nei confronti di indagati e condannati, dicendo che bisogna valutare caso per caso e che non tutte le indagini e non tutti i rinvii a giudizio sono meritevoli di un’espulsione dal Movimento.
Di Maio ha anche guidato la “ritirata” del Movimento delle posizioni più apertamente favorevoli all’uscita dalla moneta unica europea. Poche settimane fa ha partecipato al forum di Cernobbio, uno degli appuntamenti più importanti dell’anno per imprenditori e banchieri italiani: ha fatto un discorso moderato e rassicurante in cui ha cercato di dipingere il Movimento come un partito “normale”, per nulla minaccioso nei confronti dell’establishment economico. Non è la prima volta che Di Maio partecipa a convegni che farebbero rizzare i capelli ai più ortodossi attivisti del Movimento: ha partecipato a incontri con gruppi di lobbisti come la Trilaterale, un forum internazionale simile a quello di Cernobbio, e ha persino sviluppato un rapporto di reciproca stima con l’ex presidente del Consiglio Mario Monti, che di recente ha definito il leader grillino «un raffinato borghese». Di Maio inoltre è sempre stato molto vicino ai vescovi italiani, come dimostra la sua intervista ad Avvenire nel gennaio 2013 e la sua partecipazione a diversi eventi organizzati da associazioni cattoliche.
Ad aiutarlo a muoversi in questi ambienti è stato Vincenzo Spadafora, ex presidente di UNICEF Italia, ex garante dell’infanzia, nominato durante l’ultimo governo Berlusconi. Spadafora ha 42 anni, è nato ad Afragola, a pochi chilometri da Pomigliano d’Arco, e negli anni ha frequentato a lungo il sottobosco politico romano, stringendo numerose amicizie e alleanze. In passato ha coltivato ambizioni politiche personali, è stato vicino al movimento Italia Futura, che avrebbe dovuto lanciare la candidatura di Luca Cordero di Montezemolo e che è poi confluito in Scelta Civica. David Allegranti racconta sul Foglio che Spadafora rifiutò una candidatura in Campania con il partito guidato da Mario Monti ma che non abbandonò le sue ambizioni politiche, tanto da pubblicare nel 2014 un’ispirata autobiografia insieme alla giornalista di Panorama Stefania Berbenni. Nell’aprile 2016 Spadafora annunciò su Facebook di essere divenuto consulente di Di Maio per le relazioni istituzionali.
La vittoria alle primarie per la scelta del candidato presidente del Consiglio e capo politico del Movimento 5 Stelle ha rappresentato fino a questo momento l’apice della carriera politica di Luigi Di Maio. Il suo futuro, però, a oggi è molto incerto. Al momento sembra praticamente impossibile che il Movimento 5 Stelle riesca a ottenere la maggioranza dei voti necessaria a formare un governo. Anche il suo ruolo di “capo politico” sembra generare più incognite che certezze. Fino a questo momento gli altri due più celebri leader del Movimento, Roberto Fico e Alessandro Di Battista, hanno evitato di sfidarlo direttamente: il primo però ha manifestato molta freddezza di fronte alla sua nomina. Gestire il Movimento non sarà facile per Di Maio. Il partito è diviso e rissoso, e in passato è stato più volte necessario l’intervento diretto di Grillo e del suo potere assoluto per risolvere le divisioni e comporre i conflitti. Sembra difficile che per restare autorevolmente a capo del partito dopo le elezioni possano bastargli i 30 mila voti che lo hanno portato a vincere le primarie; servirebbe invece un grande risultato elettorale, anche se non dovesse portare al governo. Più di tutto, però, Di Maio continuerà ad aver bisogno dell’appoggio e della legittimazione di coloro che detengono ancora il potere nel Movimento: Beppe Grillo e Davide Casaleggio.