AttualitàHomePolitica

NESSUN DECRETO SULLA CHIUSURA DEI PORTI È MAI STATO FIRMATO, SOLO TWEET E FACEBOOK

L’Espresso  pubblica un’inchiesta sulla decisione del governo Conte di chiudere i porti italiani alle navi delle Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. Ha ricostruito le mosse del governo italiano dal 10 giugno, il giorno in cui il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha pubblicato una sua foto con l’hashtag #Chiudiamoiporti, fino al 29 dello stesso mese, quando il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha annunciato di avere disposto «il divieto di attracco nei porti italiani per la nave Ong Astral, in piena ottemperanza dell’articolo 83 del Codice della Navigazione» (l’articolo 83 permette al ministro dei Trasporti di limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale italiani per motivi di ordine pubblico, tra gli altri). Toninelli si riferiva a un episodio particolare, cioè la richiesta della nave Astral di attraccare in Italia per poter fare rifornimento, senza che in quel momento a bordo ci fossero migranti.

L’inchiesta dell’Espresso mostra come il governo abbia solo “annunciato” la chiusura dei porti alle ong, per lo più tramite tweet e video su Facebook, ma non l’abbia mai ufficialmente decisa e approvata: nonostante le molte richieste ricevute, infatti, il ministero dei Trasporti non è stato in grado di mettere a disposizione dei giornalisti il decreto che sostiene di avere approvato. “Toninelli ha mentito”, conclude l’Espresso.
Giacca scura. Sguardo tenebroso. Non è più tempo di slogan, ma di azione. È il 10 giugno, una foto di Matteo Salvini sta per fare il giro del mondo. “#Chiudiamoiporti” è l’hashtag. Ma in uno stato democratico non basta un tweet per un’azione così dura, la prima in tutta Europa pensata per fermare i migranti e chi li salva dal mare. Serve un decreto, come recita il codice della navigazione. Per il neoministro dell’Interno Salvini è fondamentale l’appoggio del collega del M5s, Danilo Toninelli, titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, che ha la competenza sui porti. E in una prima fase i due ministri sembrano parlare con una voce sola: diramano note congiunte, intimano a Malta di aprire i suoi porti e “non voltarsi dall’altra parte”, minacciano il sequestro delle imbarcazioni delle Ong che si avvicinano ai porti italiani.
In realtà non c’è un solo atto formale, un solo decreto. La strategia del governo gialloverde viaggia su canali esclusivamente orali fino al 29 giugno, quando ad avvicinarsi alle acque italiane sono le imbarcazioni Open Arms e Astral della Ong spagnola Proactiva. Salvini insiste: quelle navi devono vedere l’Italia soltanto “in cartolina”, e annuncia la chiusura dei porti anche per gli scali tecnici e i rifornimenti.
Ma è il ministro pentastellato a imprimere un salto di qualità all’esecutivo: Toninelli rende noto con un comunicato di aver disposto, “in ragione della nota formale che giunge dal Ministero dell’Interno e adduce motivi di ordine pubblico, il divieto di attracco nei porti italiani per la nave Ong Open Arms, in piena ottemperanza dell’articolo 83 del Codice della navigazione”. Il primo provvedimento formale del governo sui porti, così lo descrivono i giornali. Ma in quelle ore, e nei giorni successivi, il decreto non si trova. Non l’hanno visto i marinai e i legali di Open Arms, a cui quell’atto dovrebbe essere notificato. Non riescono a recuperarlo i giornalisti, nonostante le rassicurazioni continue del portavoce del ministro Toninelli. Quel documento non c’è. L’Espresso è in grado di rivelare che in quelle ore concitate, in cui le uniche imbarcazioni di Ong nel Mediterraneo in grado di raggiungere la zona di ricerca e soccorso libica erano quelle di Proactiva Open Arms, il ministro Toninelli ha mentito. Il decreto non è mai stato firmato.
La conferma arriva il 23 luglio scorso dal Comando generale delle Capitanerie di porto, in risposta a una richiesta di accesso agli atti di Open Arms: “Non risulta che sia stato adottato, nel caso indicato, alcun provvedimento ministeriale ai sensi dell’articolo 83 del Codice della navigazione” precisa il capo del terzo reparto, contrammiraglio Sergio Liardo. Nessun problema di ordine pubblico. Nessun decreto del ministro. La Guardia costiera italiana esclude anche che sia stato firmato qualsiasi altro provvedimento di interdizione “del mare o degli ambiti portuali” nei confronti di navi della Ong Proactiva. Contattato dall’Espresso, il ministro Toninelli non ha voluto commentare. Fonti del Mit sostengono che “il provvedimento è decaduto immediatamente, dato che poco dopo la Open Arms prese a bordo una sessantina di migranti, e l’atto non poteva più reggere essendo valido per l’assetto della nave con a bordo il solo equipaggio. Il decreto in realtà era in formazione, perché era appena arrivata la nota del Viminale”.

Non si tratta solo di una questione formale. Il 28 giugno le due imbarcazioni Astral e Open Arms sono rimaste le uniche navi di Ong attrezzate per la ricerca e il soccorso in mare in grado di operare davanti alla Libia. Sono partite da Valencia e, dopo giorni di navigazione, avanzano la richiesta di uno scalo tecnico: la nave più grande ha bisogno di un cambio di equipaggio, di viveri, di fare rifornimento. Dopo aver incassato il diniego di Malta, il capitano della Open Arms, Marco Martínez Esteban, gira la richiesta di attracco alla Capitaneria di porto di Pozzallo, in Sicilia. Comincia uno scambio di email tra la nave spagnola e la capitaneria italiana, con richiesta di una serie di informazioni da parte dell’autorità portuale sul motivo della scelta di Pozzallo in luogo di La Valletta, sulla quantità di carburante necessario e l’autonomia residua dell’unità navale.

Intanto dal Viminale parte una nota urgentissima a firma del capo di Gabinetto, Matteo Piantedosi, indirizzata al ministro dei Trasporti Toninelli: “Non si possono escludere riflessi sull’ordine pubblico derivanti dall’accoglimento dell’istanza” di accesso al porto presentata dalla Ong, scrive il dicastero di Salvini. Non solo: per gli Interni non c’è “alcuna situazione emergenziale” nelle richieste avanzate da Open Arms, che nel frattempo rinuncia ad attraccare nel porto di Pozzallo e con il carburante al minimo continua a muoversi in acque internazionali, dirigendosi verso la zona search and rescue antistante la Libia. Il resto è cronaca.

Quel giorno, in un naufragio, secondo l’Unhcr muoiono più di cento persone nelle acque libiche, tra cui tre bambini. Gran parte dei corpi rimangono in mare. Verso le 9 del mattino del 29 giugno l’equipaggio della Open Arms aveva intercettato una comunicazione sul canale 16 relativa a un barcone in pericolo nella zona di Al-Khums, vicino alla costa di Tripoli, a 80 miglia nautiche dalla nave. Ma la Open Arms non poteva raggiungerlo facilmente: “È molto lontano e hanno avvisato i libici. Noi siamo con il diesel al minimo – ha raccontato il comandante di Open Arms al quotidiano spagnolo El Diario – non siamo in grado di accelerare per arrivare in tempo”.

Roma non lancia l’allarme tanto che, alla fine, l’allerta ufficiale sul natante da soccorrere la diramerà La Valletta. Ma nonostante l’offerta di supporto da parte della Ong, quel giorno “l’intervento della nave Open Arms non viene accordato dalle autorità italiane – ricorda la Ong Proactiva – che non rispondono positivamente alle nostre chiamate”. In serata, mentre comincia a circolare la notizia di un naufragio con cento dispersi, arriva la nota di Toninelli che nega ufficialmente l’approdo in porto alla Open Arms. In un primo momento il ministro sbaglia persino imbarcazione, sostenendo di aver “disposto il divieto per la nave Ong Astral”. Due ore dopo la rettifica: “La nave a cui si riferisce il provvedimento è la Open Arms e non la Astral. Entrambe fanno capo alla Ong Proactiva Open Arms”. Ma non esiste nessun provvedimento.

“È stato un tentativo di far desistere le Ong e le strutture che avrebbero potuto fare i salvataggi in mare, una sorta di messaggio all’Europa e al mondo – illustra l’avvocato di Open Arms, Rosa Emanuela Lo Faro – perpetrato via social network, senza ricorrere ad atti formali. Si è trattato quindi sicuramente un modus operandi anomalo, perché l’azione di un governo deve esplicarsi attraverso la formazione di atti amministrativi e non via Twitter. Una cosa comunque la possiamo dire con certezza: se la nave di una Ong volesse entrare in un porto italiano oggi potrebbe farlo, perché non è mai stato chiuso nessun porto: i porti italiani sono aperti. Sono stati chiusi solo a parole”.

Come nel caso della Aquarius e della Lifeline, la linea dura del governo ha funzionato ancora una volta senza far ricorso a troppe carte bollate: a Salvini sono bastati dei tweet, qualche post su Facebook e un intervento alla radio; a Toninelli l’annuncio di un decreto mai firmato. Per riuscire a mettere in discussione princìpi scolpiti, prima che nelle leggi, in più di duemila anni di storia del Mediterraneo.