Ci sarebbe una fronda grillina all’interno del consiglio e l’amministrazione comunale di Roma, è quello che scrive oggi il neo-vicedirettore di Repubblica Sergio Rizzo, che spiega:
Con quello che sta succedendo a Roma un assessore che rimette alla sindaca la delega alle Politiche abitative non è certo una gran notizia. Se però si tratta dell’assessore al Bilancio, cioè la persona che ha in mano i cordoni della borsa, e non rinuncia per capriccio ma per dare un segnale politico, allora la faccenda cambia. Il suo nome è Andrea Mazzillo, e dice: “Qui serve una svolta, continuando così andiamo a sbattere. Va a sbattere tutta la città”. Il segnale è innanzitutto per la sindaca. Ma pure a quanti hanno sempre condizionato le scelte del Campidoglio: dal direttorio della prim’ora, al direttorio bis degli onorevoli tutor di Virginia Raggi, e più su. Fino alle vere stanze dei bottoni della Capitale, quelle dell’Hotel Forum occupate di solito da Beppe Grillo e Davide Casaleggio. E la storia si fa ancora più seria perché non è la presa di posizione di un singolo assessore. Dietro a lui ci sarebbe infatti il pezzo di consiglio comunale che garantisce la maggioranza a Virginia Raggi.
Fra Mazzillo e il presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito si è stabilito un inedito asse di ferro. La manovra punta a riportare il potere in mano agli eletti. Gli esperti di codici grillini potrebbero interpretare ciò come un ribaltamento nei rapporti di forza. Mazzillo era considerato uno dei fedelissimi di Virginia Raggi, mentre De Vito è vicino alla ex capogruppo alla Camera Roberta Lombardi, che pubblicamente non ha mai mostrato particolare stima per la sindaca. Se però il possibile terremoto della “discontinuità”, come la chiama Mazzillo, ma che sarebbe più giusto definire “presa di distanze” non fosse di ben più ampia portata.
Da mesi crescono i malumori nell’assemblea dove per una singolare usanza i consiglieri si fregiano come i parlamentari dell’appellativo di “onorevoli”. Il consiglio comunale lamenta di essere tagliato fuori di fatto da ogni decisione. E l’ultimo caso, quello del direttore generale dell’Atac Bruno Rota che ha sparato dalle colonne di Corriere della sera e Fatto quotidianouna mitragliata sull’azienda pochi giorni dopo aver rassegnato le dimissioni, è solo il detonatore di una situazione esplosiva. Rota era l’ennesimo manager nordista, che in men che non si dica ha fatto le valigie.
“Le decisioni sono adottate centralmente, senza alcun confronto con l’assemblea che spesso e volentieri viene tenuta all’oscuro. Molti assessori non hanno alcun rapporto con gli eletti”, accusa Mazzillo. Si fa presto a capire chi mette sul banco degli imputati: il vicesindaco Luca Bergamo, dai trascorsi nel Pd, l’assessora all’Ambiente Pinuccia Montanari, quella che “sostiene di non aver mai visto qui i topi per il semplice fatto che non conosce Roma”, ma soprattutto il factotum delle municipalizzate catapultato anch’egli come Rota dal Nord. Ovvero, l’ex imprenditore veneto Massimo Colomban. Dire che Mazzillo con lui non abbia mai legato è puro eufemismo.
Il fatto è che fra le decisioni prese centralmente che provocano così tanti mal di stomaco nel consiglio comunale le più indigeste sono quelle calate dall’alto. Tipo, appunto, le nomine delle figure chiave. Che Virginia Raggi ha sempre finito per subire. Sono sempre arrivate direttamente dalle stanze dei bottoni del Movimento 5 stelle. E l’innesto di Colomban, rivelatosi finora privo di alcuna concretezza, viene portato come l’esempio più clamoroso. Ma non l’unico. “Francamente non si capisce perché si senta il bisogno di affidare certi incarichi delicati a persone che non conoscono Roma, come se in questa città non fossero reperibili determinate competenze”, argomenta Mazzillo. La verità è che certe scelte manageriali ai vertici delle municipalizzate si sono risolte finora in autentici disastri. Ed è difficile attribuire le cause alla semplice inesperienza di politici in erba, quando invece le decisioni sono prese da altri.
Tutto questo discende da ragioni precise. Pur senza dirlo apertamente, l’assessore al Bilancio fa risalire la cosa al peccato originale: il famoso contratto che Virginia Raggi e i consiglieri comunali hanno accettato di firmare. Una ipoteca economica pesantissima capace di menomare ogni azione politica che abbia il sapore dell’indipendenza dalle direttive dei vertici del Movimento (come sa bene la consigliera Cristina Grancio sospesa per essersi mostrata perplessa sullo stadio della Roma). Con cui, al contrario, la sindaca di Torino Chiara Appendino non è costretta a fare i conti. E la differenza, infortuni a parte, è evidente.
La conseguenza, dice l’assessore al bilancio, è che amministrare una città come Roma in queste condizioni è una guerriglia quotidiana. “Prima non si facevano le gare. Adesso invece sono bandite regolarmente, peccato solo che spesso non si riesca ad aggiudicarle perché i commissari si ammalano all’improvviso “, racconta Mazzillo. E sbotta: “Nessuno si vuole assumere responsabilità. Ho dovuto richiamare la nostra compagnia assicurativa, la Adir, che l’altro giorno mi ha comunicato la decisione di non voler più dare copertura ai dirigenti del Comune. Che così hanno comprensibili difficoltà a esporsi”.
Per non parlare della meticolosità della Corte dei conti nel mettere il naso in ogni delibera. Con il paradosso che quella valanga burocratica si abbatte proprio su di lui, che di un noto fustigatore della magistratura contabile, Luigi Mazzillo, è il figlio. Senza poi contare le tegole che cadono sulla testa quando meno te l’aspetti. Un esempio rende l’idea. “La società Investimenti spa ci ha chiamato in causa “, rivela lui, “per un arbitrato da capogiro. Chiede al Comune di Roma qualcosa come 150 milioni di danni perché sono state ridotte le cubature dell’intervento previsto nella vecchia Fiera di Roma”. Il bello è che Investimenti
spa è una società interamente pubblica, controllata al 58 per cento dalla Camera di Commercio, al 20 per cento circa dalla Regione Lazio e per il restante 22, pensate un po’, addirittura dal Campidoglio. Un altro fulgido esempio dello Stato che fa causa a se stesso. Complimenti.