IL TRIBUNALE DI ROMA PUÒ DICHIARARE “NULLO” IL CONTRATTO FIRMATO DELLA RAGGI, ECCO PERCHÈ
Nelle prossime ore il tribunale di Roma dovrebbe decidere se ammettere un ricorso importante presentato contro la candidatura del sindaco della Capitale Virginia Raggi. Il ricorso è stato elaborato da Venerando Monello, avvocato esperto di diritto amministrativo iscritto al Pd, e ciò che viene contestato al sindaco, scrive il Foglio, è aver sottoscritto un contratto privato con una società terza (la Casaleggio Associati) che presenterebbe diversi profili di incostituzionalità (articolo 3, articolo 51, articolo 67, articolo 97) e che, complice una clausola che prevede una penale da 150 mila euro in caso di tradimento del contratto, renderebbe di fatto Raggi una dipendente di una società privata.
Sul Foglio abbiamo seguito e raccontato i dettagli della vicenda fin dal primo giorno, provando a spiegare come dietro al giudizio che pende sul contratto di Raggi ci sia la vera essenza dell’imbroglio grillino: la democrazia diretta come negazione della democrazia.
Di seguito è pubblicata l’ultima memoria di replica dell’avvocato Morello al Tribunale di Roma:
Con ricorso ex art. 702 c.p.c., iscritto in data 22.7.2016 e ritualmente notificato alle controparti, il ricorrente adiva in giudizio l’Avv. Virginia Raggi, eletta Sindaco di Roma Capitale, i sig.ri Giuseppe Piero Grillo e Davide Federico Casaleggio, nonché l’associazione MoVimento 5 Stelle e l’amministrazione di Roma Capitale, e chiedeva all’Ecc.mo Tribunale “contrariis reiectis, accertare e dichiarare tempestivamente:
1) le condizioni di ineleggibilità della candidata Virginia Raggi alla carica di sindaco di Roma Capitale, a causa del rapporto contrattuale con l’Associazione MoVimento 5 Stelle, Beppe Grillo e Davide Casaleggio derivanti dalla adesione al c.d. “codice di comportamento per i candidati ed eletti del MoVimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016 nelle liste del MoVimento 5 Stelle”, in violazione degli artt. 3, 67 e 97 Cost., dell’art. 1 L. n. 17 del 1982, nonché degli artt. 3, 7, 23 del Regolamento del Consiglio Comunale di Roma Capitale, e conseguentemente dichiarare la decadenza dell’avv. Virginia Raggi dalla carica di Sindaco di Roma Capitale.
2) la nullità del “codice di comportamento per i candidati ed eletti del MoVimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016 nelle liste del MoVimento 5 Stelle”, sottoscritto tra le parti Virginia Raggi, l’Associazione MoVimento 5 Stelle, Giuseppe Piero Grillo e Davide Federico Dante Casaleggio, in quanto in evidente violazione degli artt. 3, 67 e 97 Cost., dell’art. 1 L. n. 17 del 1982, nonché degli artt. 3, 7, 23 del Regolamento del Consiglio Comunale di Roma Capitale”.
All’udienza del 6.12.2016 le parti si costituivano ritualmente ed il Tribunale assegnava termine per il deposito di note difensive al 23.12.2016 e al 10.1.2017 per le eventuali repliche.
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1) In merito alla legittimità processuale del dott. Davide Federico Dante Casaleggio.
Questa difesa prende atto di quanto asserito dal dott. Casaleggio, ovvero che
egli “non ricopre all’interno del MoVimento 5 Stelle alcun ruolo allo stesso riferibile in relazione al codice di comportamento” e che “non è rinvenibile
in capo al Sig. Davide Federico Dante Casaleggio alcuna legittimazione passiva per le richieste di parte ricorrente”.
Tuttavia, quanto sostenuto dalla difesa del dott. Casaleggio, ovvero che “[…] Ad una semplice lettura del Codice di Comportamento, facilmente reperibile online, è facile comprendere come i Garanti del Movimento 5 Stelle fossero individuati nelle persone di Beppe Grillo e del compianto Gianroberto Casa- leggio”, sarebbe stato vero ove “on line” si fosse provveduto a pubblicare copia sottoscritta e datata del contratto. Circostanza che, invece, non è avvenuta. Tanto che il ricorrente ha dovuto richiedere espressamente, all’udien- za del 6 dicembre 2016, che le parti depositassero in giudizio l’originale o copia sottoscritta del Contratto. Copia che la difesa di Grillo e del MoVimento 5 Stelle ha prontamente depositato proprio mentre il Tribunale si accingeva a disporne l’acquisizione.
Invero, della effettiva sottoscrizione del Contratto il ricorrente ne è venuto a conoscenza solo a seguito delle dichiarazioni alla stampa da parte dell’allora candidata Virginia Raggi in data 18 maggio 2016 (doc. 2). Ma fino al mo- mento del deposito (6.12.2016) della copia del contratto sottoscritto il ricorrente non poteva avere contezza circa l’individuazione dei reali sottoscrittori, dato che subito dopo la dipartita di Gianroberto Casaleggio, avvenuta il 12 aprile 2016, tutte le maggiori testate di informazione hanno scritto, anche riportando dichiarazioni di autorevoli esponenti del M5S, che il dott. Davide Casaleggio fosse effettivamente succeduto al padre nel ruolo che lo stesso ricopriva sia all’interno del MoVimento 5 Stelle, sia alla guida della Casaleggio Associati s.r.l. (doc. 4)
Circostanze queste mai smentite dal dott. Casaleggio, né a mezzo stampa, né nei comportamenti. E valga il vero.
Inspiegabile sarebbe stato, infatti, per il ricorrente non considerare il dott. Davide Casaleggio quale effettivo successore del padre alla sottoscrizione del Contratto de quo, dati i numerosi incontri che lo stesso ha avuto sia durante la campagna elettorale, sia successivamente, con Virginia Raggi. È noto, infatti, che un semplice web master non incontra, discute, e pianifica la politica di un partito politico. Ciò lo fa solo un leader politico, per meriti riconosciuti o per successione dinastica che sia.
È, pertanto, evidente che è stato proprio l’agire del dott. Davide Casaleggio ad indurre il ricorrente nell’errore scusabile di considerare lo stesso Casaleggio titolare di legittimità processuale.
È proprio di queste ore la la notizia che il dott. Casaleggio si trovi a Roma per coordinare una specie di triunvirato di parlamentari con lo scopo di esercitare una sorta di tutoraggio nei confronti del sindaco Raggi.
Alla luce di tali circostanze, difficile non fare affidamento su una quantome- no apparente legittimazione passiva del dott. Casaleggio.
Va osservato inoltre che un interesse alla validità del contratto può ravvisarsi, comunque, da parte del dott. Casaleggio nel fatto che, ai sensi dell’art. 5 lett.
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d) ed e) del Contratto si prevede quantomeno l’uso di software di proprietà della Casaleggio e Associati s.r.l.
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2) In merito alle difese Raggi, Grillo e MoVimento 5 Stelle.
Vero è che lo stratega Sun Tzu, ne “L’arte della guerra” (di avviso similare anche il generale russo Michail Illarionovič Kutuzov, che sconfisse Napoleone) consigliava di cambiare il campo di battaglia quando il nemico fosse stato meglio disposto in campo, ma passare, come hanno tentato le difese Raggi, Grillo,e M5S, dal terreno del diritto a quello della politica sembra tradire alquanto i precetti dei due saggi strateghi.
Ci atterremo, pertanto, come sempre abbiamo fatto, solo al diritto, lasciando ad altri la sterile ed inutile – quanto inefficace – polemica politica condita soltanto da scomposti attacchi sul piano personale. Perché riteniamo che sia il diritto il solo a poter arginare l’abuso delle politica, e ricondurre la politica tra i binari della legalità.
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A) Sulla legittimazione attiva del ricorrente e sulla giurisdizione.
La legittimazione processuale del ricorrente è piena, come piena è la giurisdizione dell’adito Tribunale. Entrambe derivano dalla legge, in particolare dal combinato disposto degli artt. 19 della l. n. 108 del 1968, e 22 del d.lgs. n. 150 del 2011.
Il presupposto processuale si fonda sulla domanda di declaratoria di ineleggibilità del sindaco di Roma Capitale, avv. Virginia Raggi, per avere lo stesso sindaco sottoscritto un contratto contra legem che, circoscrivendo fino quasi ad annullare le prerogative tipiche della carica, vìola norme e principi di rango costituzionale e norme di rango ordinario e regolamentari.
La legittimazione processuale attiva del ricorrente è di palmare evidenza, ed è, inoltre, stata oggetto di analisi già nell’atto introduttivo del giudizio, pertanto questa difesa non intende tediare oltre sul punto il Collegio.
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B) sulla ineleggibilità del sindaco.
Controparti hanno asserito che le clausole di ineleggibilità sono solo quelle espressamente e tassativamente indicate dalla legge. Ed è vero.
Hanno anche affermato che, in materia di ineleggibilità, l’ordinamento giuridico vieta l’applicazione analogica di norme non espressamente codificate. Questo punto, invece, non ci trova d’accordo, specie date le eccezionali carat- teristiche del vincolo de quo.
Il caso di specie, difatti, non ha precedenti. Mai prima d’ora, è stata imposta a qualsiasi candidato la sottoscrizione di un contratto contra legem che prevede specifiche e vessatorie limitazioni di diritti indisponibili quale presupposto per la candidatura prima e l’esercizio delle funzioni di carica poi.
Riteniamo, in sostanza, che l’Ecc.mo Collegio dovrà stabilire se vincolanti disposizioni pattizie, che incidono e contrastano direttamente con norme e principii di rango costituzionale – come quelle contenute agli artt. 51, 67 e 97 Cost. – siano protette dal divieto di applicazione analogica, o se, al con- trario, la loro tutela soccombe davanti alla diretta violazione di norme e principi costituzionali a presidio di interessi più alti: le libertà democratiche.
Se è noto che la giurisprudenza costituzionale considera l’eleggibilità la regola e l’ineleggibilità l’eccezione, altrettanto noti sono i principi di diritto formulati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 141 del 1996, ove ribadisce che le restrizioni del contenuto di un diritto inviolabile sono ammissibili solo nei limiti indispensabili alla tutela di altri interessi di rango costituziona- le, e ciò in base alla regola della necessarietà e della ragionevole proporzionalità di tale limitazione. Sicché, per stabilire se l’ipotesi di ineleggibilità è legittima, bisogna valutare se essa sia dunque indispensabile per assicurare la salvaguardia di detti valori, se sia misura proporzionata al fine perseguito o se invero esso non finisca piuttosto per alterare i meccanismi di partecipazio ne dei cittadini alla vita politica, delineati dal titolo IV, parte I, della Carta costituzionale, comprimendo un diritto inviolabile senza adeguata giustificazione di rilievo costituzionale.
Qui è l’interesse pubblico attraverso il rilievo costituzionale sopra descritto che deve necessariamente essere tutelato, contro un interesse di parte, a tutela delle libertà democratiche di cui agli art. 51 e 67 della Costituzione.
L’interpretazione della norma compete al Giudice ordinario. Questo orientamento trova conferma nella sentenza della Corte Cost. n. 364 del 1996, ove si afferma esplicitamente che eventuali dubbi interpretativi legati alla scarsa determinatezza della fattispecie di ineleggibilità potranno essere superati dall’elaborazione giurisprudenziale.
Ma in materia di ineleggibilità la Corte si è spinta oltre, e con la sentenza n. 277/2011 ha stabilito che in tema di ineleggibilità occorre avere riguardo alla bilateralità degli interessi degni di tutela. Dispongono i giudici della Consulta che “[…] L’analisi va viceversa condotta – in ossequio alla esigen- za di ricondurre il sistema ad una razionalità intrinseca altrimenti lesa – alla stregua di un criterio più propriamente teleologico, nel cui contesto va evidenziato «il naturale carattere bilaterale dell’ineleggibilità», il quale inevi- tabilmente «finisce con il tutelare, attraverso il divieto a candidarsi in determinate condizioni, non solo la carica per la quale l’elezione è disposta, ma anche la carica il cui esercizio è ritenuto incompatibile con la candidatura in questione» (sentenza n. 276 del 1997).
Tale profilo finalistico non può trovare attuazione se non attraverso l’affermazione della necessità che il menzionato parallelismo sia assicurato ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 51 Cost. (sentenza n. 201 del 2003),
re, per contratto, a terzi – identificati o identificabili – le funzioni tipiche del pubblico incarico ricoperto ed attribuito ad egli soltanto sulla base di un preciso mandato elettorale ricevuto dai cittadini;
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a) con l’art. 67 Cost., in ragione della concreta contrapposizione d’interessi tra soggetti privati e l’amministrazione capitolina, con conseguente vulnus del principio di libertà di mandato, per possibile conflitto di interessi tra l’impegno privatistico pattizio (il contratto) e quello di sindaco;
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b) con l’art. 97 Cost., atteso che le limitazioni contrattuali si ripercuotono ne- gativamente sull’efficienza e imparzialità delle funzioni che un sindaco deve liberamente esercitare.