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DI MAIO A CERNOBBIO, PIÙ DEMOCRISTIANO CHE GRILLINO

“Io sono qui per dire che non vogliamo creare un’Italia populista, antieuropeista, estremista”.
Il vicepresidente della Camera e candidato premier del M5S Luigi Di Maio apre il suo intervento al Forum Ambrosetti di Cernobbio che sembra un democristiano degli anni 60. Rassicurante – scrive sull’Huffngton Post il vicedirettore Gianni Del Vecchio. Prova a raccontare di un Movimento 5 Stelle diverso, ridimensionato di quella carica sovversiva e antisistema che ci hanno abituato a conoscere.

Da il meglio, che lui e pochi altri riescono a dare, con la sua faccia pulita da chierichetto e il modo affabile per conquistare l’interlocutore.

Il messaggio è l’addio al populismo. Alcuni imprenditori che hanno partecipato al panel con Di Maio, Matteo Salvini e Giovanni Toti, hanno spiegato come l’intervento del leader 5 Stelle sia stato tutto improntato al ridimensionamento di quella carica sovversiva e antisistema che fa parte del dna e della storia del Movimento.
“Creare e non distruggere”, ha sottolineato Di Maio, che sui temi chiave per il Paese, dall’euro al lavoro, ha voluto rassicurare la platea dei manager, economisti e imprenditori curiosi di conoscere l’agenda 5 Stelle. A una platea che fa dell’europeismo una bandiera irrinunciabile, Di Maio ha detto: “Noi non siamo contro l’Unione europea, vogliamo restarci”. Come? Il vicepresidente della Camera ha spiegato che la strategia del Movimento punta alla revisione del Fiscal compact e, più in generale, “alla revisione del pacchetto austerità e di tutti quei Trattati che hanno creato problemi”.
Di Maio, sempre secondo quanto riferiscono alcuni partecipanti al panel, ha poi parlato della necessità di aprire una riflessione sulle risorse che l’Italia destina ogni anno al bilancio dell’Unione europea. E poi, incalzato dal finanziere Davide Serra, vicino a Matteo Renzi, ha ridimensionato il peso specifico del referendum per l’uscita dalla moneta unica. Più precisamente ha usato un’espressione, “extrema ratio”, che ben sintetizza quanto siano lontani i tempi in cui Grillo invocava la consultazione degli italiani come unica via d’uscita dall’euro, considerato l’origine dei mali per l’Italia. La linea dei 5 Stelle punta, quindi, a usare il referendum come semplice strumento di negoziazione al tavolo dell’Europa e non a osare di più.
Anche sul reddito di cittadinanza, su cui ha chiesto lumi il vicepresidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, Di Maio – spiegano sempre alcuni partecipanti – ha voluto usare toni di rassicurazione: “Non è una visione apocalittica”, ha sottolineato, spiegando i paletti stretti dentro cui si articola la proposta dei 5 Stelle, che di fatto limitano l’ambito di applicazione della stessa misura. Perché, ha spiegato Di Maio, la proposta dei 5 Stelle punta a garantire sì a 9 milioni di italiani un reddito mensile sopra i 780 euro ma non a pioggia bensì solo per quei lavoratori che perdono il proprio posto e hanno bisogno di essere riqualificati e inoltre solo per il tempo strettamente necessario per tornare nel circuito lavorativo. Non a caso, il leader pentastellato davanti agli imprenditori ha volutamente sottolineato come questa misura sia accompagnata da forti pene per i probabili “furbetti”.
Di Maio in sostanza ha smussato tutti i capitoli più spinosi, ha strizzato l’occhio agli imprenditori, affermando di avere a cuore “il dialogo con i portatori di interesse”, ed è andato giù a testa bassa contro due elementi che per gli imprenditori sono una continua dannazione, cioè la burocrazia e gli sprechi della spesa pubblica. Insomma, chiamato alla prova di Cernobbio, il populismo dei 5 Stelle è sembrato trasformarsi in un tranquillo programma di governo. Con una nuova stella popolare: quella che Di Maio chiama Smart Nation, ovvero un paese tutto proiettato su innovazione, digitalizzazione e nuove tecnologie.
Di Maio c’è la sta mettendo tutta per sembrare come i dirigenti più scaltri e preparati della Balena Bianca. L’abito buono del Movimento.