A pochi minuti dall’annuncio ufficiale della morte di Papa Francesco, sono cominciati ad arrivare i messaggi di cordoglio da parte delle istituzioni, anche il vicepremier e ministro Matteo Salvini ha affidato ai social il proprio saluto al Pontefice: “Papa Francesco ha raggiunto la Casa del Padre”.
Una formula essenziale, quasi rituale, racconta Fanpage. Ma che ha immediatamente sollevato reazioni e commenti, soprattutto online. In molti hanno infatti ricordato che tra il leader della Lega e Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio, i rapporti, negli anni, non sono mai stati semplici, anzi, spesso sono stati apertamente conflittuali. E quel breve messaggio di cordoglio, secondo gran parte dell’opinione pubblica, cozzerebbe oggi con la lunga serie di prese di posizione che racconterebbero invece una storia molto diversa.
Il primo punto di frizione tra Salvini e Papa Francesco affiora già all’indomani dell’elezione del Pontefice, nel lontano 2013. La nuova impronta sociale del pontificato, la centralità dei temi legati alla povertà, all’ambiente, alla giustizia globale e soprattutto all’accoglienza dei migranti, cominciano ben presto a entrare in collisione con la linea politica della Lega e del suo segretario. Nel luglio 2015, nel pieno della crisi migratoria, Bergoglio si trova in Bolivia per una visita ufficiale: il presidente Evo Morales gli dona un crocifisso scolpito su una falce e martello, simbolo controverso, posseduto da don Luis Espinal, gesuita seguace legato alla teologia della liberazione.
La scena fa il giro del mondo e, in Italia, scatena reazioni contrastanti: Salvini commenta duramente ai microfoni di RTL 102.5: “Io non sono rimasto incuriosito, sono rimasto schifato. In nome del comunismo sono morti milioni di persone”. E aggiunge: “Vederlo accostato a Nostro Signore, mi ha dato fastidio da credente”.
Papa Francesco, nella conferenza stampa sul volo di ritorno, spiega di non essersi sentito offeso, aggiungendo di aver lasciato in Bolivia l’onorificenza ricevuta e di aver invece portato con sé quel crocifisso.
Un anno dopo, nel settembre 2016, il malcontento diventa gesto pubblico. A pochi giorni dall’adunata annuale di Pontida, la Lega organizza un sit-in a Milano. Sui social circola una maglietta con la scritta “Il mio Papa è Benedetto”, accompagnata da un’immagine poco lusinghiera di Bergoglio che si tiene la testa tra le mani. L’iniziativa è firmata dai Giovani Padani e promossa dall’allora responsabile nazionale Andrea Crippa, oggi parlamentare e vice di Salvini nel partito. Ma la maglietta la indossa anche lo stesso Salvini, che ne rivendica il messaggio: “non mi piace chi fa entrare l’Imam in Chiesa”.
Quel giorno la frattura si fa evidente: da una parte, il Papa argentino che predica l’inclusione e l’ascolto, dall’altra, un movimento politico che, almeno in quella fase, trova più affinità nel pensiero di Papa Ratzinger, per via delle sue posizioni più conservative in materia di fede, morale e immigrazione. Un confronto dunque non solo spirituale, ma culturale e profondamente politico.
Nel maggio 2019, durante la campagna per le elezioni europee, Salvini sale sul palco di piazza Duomo a Milano con un rosario in mano: le reazioni sono immediate. Il mondo cattolico si divide, ma una parte rilevante esprime disagio e contrarietà. Famiglia Cristiana parla apertamente di “strumentalizzazione religiosa”. Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica e vicino al Papa, scrive che si tratta di un uso “politico e improprio dei simboli della fede”. La tensione tra Chiesa e politica, già visibile da tempo, si fa adesso quasi esplicita. Salvini replica: “Io sono credente, porto il rosario sempre con me. Lo diceva anche Papa Benedetto”.