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NON FUNZIONA IL MICROCREDITO 5 STELLE

Jacopo Iacoboni sulla Stampa di oggi parla di un dibattito interno al MoVimento 5 Stelle che riguarda il microcredito, ovvero il fondo del ministero delle Attività produttive che viene alimentato anche con i soldi restituiti dai parlamentari grillini. Secondo il quotidiano nel M5S è in atto una riflessione che potrebbe cambiare al cambio di destinazione dei soldi oggi restituiti.

Nelle chiacchierate dentro il direttorio del Movimento cinque stelle si può sentire qualcuno dei cinque esporre ormai senza pudori ragionamenti come questo: «Diciamoci la verità ragazzi, il microcredito non ha funzionato, bisogna trovare il modo di usarli, i soldi, e usarli in maniera politicamente più proficua».

Traduzione: i giovani stanno per riuscire a mettere in soffitta quella che per il Movimento è la regola delle regole, la regola più cara a Casaleggio, la regola francescana: i soldi pubblici in eccesso si restituiscono (a un fondo per le piccole e medie imprese). Se rinuncia a questo caposaldo il Movimento non è più la stessa cosa. È quello che sta avvenendo.

Non senza resistenza, naturalmente, ma stanno cambiando alcune regole cruciali, nel M5S che si trasforma in partito. Che sia un passo avanti verso il pragmatismo, o la rinuncia e il tradimento dei propri ideali più coraggiosi, questo decidetelo voi. Ma la regola dei soldi sta per essere infranta. Beppe Grillo disse ai parlamentari, a fine 2013, «forse siamo stati tropo rigidi sui soldi, tremila euro per vivere a Roma, per chi non è di Roma, sono troppo pochi».

Poi sono venute le elezioni europee 2014: all’indomani del voto, per evitare di ripetere la querelle sulla diaria, assai alimentata dai media, ai parlamentari europei fu concesso di tenersi tutti i soldi. Così quelli italiani mugugnano: «Perché noi dobbiamo restituire e loro no?».

Infine una storia recente, molto indicativa. In Sicilia il M5s ha risistemato, con suoi soldi, una trazzera a Caltavuturo, una strada rurale che è stata pavimentata in cemento e potrà ridurre i tempi per scavalcare un punto del viadotto franato sulla Palermo-Catania. Una cosa molto bella, ma nel Movimento è servita anche a fare due più due: «Vedete? Se i soldi si possono usare a fin di bene, perché restituirli, come ci impone la vecchia regola di Casaleggio?».

Di Casaleggio, appunto, più che di Grillo. Ieri, sul blog, s’è letto: «La selezione dei candidati per le prossime elezioni politiche manterrà lo stesso metodo di quelle del 2013». Era Grillo che smentiva se stesso del giorno prima («abbiamo imbarcato di tutto»), o era Casaleggio che – in un soprassalto – gli ha corretto il tiro?

I due – eccoci al punto – non marciano ormai sulla stessissima lunghezza d’onda. Casaleggio è sofferente e isolato. Grillo si sta molto avvicinando al gruppetto-Di Maio. Aveva avuto l’idea di passare ferragosto con Di Maio e la first lady Silvia Virgulti a Marina di Bibbona. I «ragazzi» del direttorio spingono per cambiare una seconda regola: il doppio mandato. Nessuno nel M5S può essere eletto per più di due mandati. Ma ce li vedete i neopotenti trentenni a tornare a casa dopo due mandati in cui hanno assaggiato Roma? Altra regola che rischia.

La terza regola è già cambiata: i meet up, che prima erano, il Movimento, sono stati declassati a semplici «Amici di Beppe Grillo», non hanno nessuna possibilità di fare recall ai parlamentari, e il Movimento è invece degli eletti, in particolare del direttorio.

Luigi Di Maio si sta costruendo una sua struttura, pescando tecnici a piacimento, dal legislativo, dalla comunicazione, attraendo deputati nella sua orbita, come Mattia Fantinati, o come Alfonso Bonafede, unico che resiste alla vicepresidenza di una commissione (la Giustizia). «Non siamo un partito/ non siamo una casta/ siamo cittadini punto e basta», cantava il Movimento dello Tsunami tour. Una stagione ormai sepolta.

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Jacopo Iacoboni per la Stampa