“Mica scrivo io le norme”, la sventurata rispose a chi nel giallo della manina non le affibbia (neppure) il ruolo del maggiordomo, imputandole però di non aver compreso appieno il senso e l’impatto di quanto contenuto nel decreto con tutto quanto ne è seguito.
Se quella frase pronunciata a sua difesa dalla grillina Laura Castelli, sgombrando il campo dal fatto che la sottosegretaria al Mef – scrive LoSpiffero.com non si cimenti a scrivere leggi, suona a molti e per molti versi tranquillizzante, su di lei si accumulano indizi e sospetti. Non certo di intelligenza (col nemico), ma appunto di non aver capito quel che nel testo c’era scritto, salvo poi interpretare il ruolo di chi ha scoperto il trappolone leghista avvertendo subito Luigi di Maio, infilatosi pure lui nella trappola davanti alle telecamere di Porta a Porta.
Ormai sia nella Lega ma anche nel suo partito, sono molti a puntare il dito contro di lei, la parlamentare torinese soi-disant “economista” con laurea triennale e un curriculum da cui si evince che a quattordici anni si innamorò della palestra e della danza hip-hop e nel contempo decise di fare la contabile sapendo di dover studiare molto per diventare brava come la cugina.
Nel Carroccio, che al Mef ha il navigato Massimo Garavaglia quale omologo della Castelli, si insiste sul fatto che il testo uscito dal Consiglio dei ministri, comunque ancora allo stato embrionale, rispecchiasse tutti i punti dell’accordo, condiviso da entrambi i partiti. Alle accuse e ai sospetti della Lega, i grillini rispondono punto per punto e ne marcano soprattutto uno: chi ha seguito il lavoro preparatorio sostiene che l’accordo non era su questo. “Non siamo nati ieri. Non si fanno rientrare capitali che non si sono mai dichiarati. Stop. Non c’è niente da discutere” dicono dal Movimento, dove però l’inconfessabile dubbio sulla mancata comprensione da parte della sottosegretaria si fa sempre più prossimo alla certezza.
Bisognerà pur trovare un colpevole in questo giallo(verde), scoprire di chi è la manina evocata dal vicepremier grillino. O, perlomeno, cavarsi dall’impaccio evitando la crisi di governo indicando senza doverlo cercare troppo il capro espiatorio. Declinandolo al femminile.