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FDI E LEGA E L’ASTENSIONE IN EUROPA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Nel maggio scorso il Parlamento europeo ha votato per la adesione dell’Ue alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, conosciuta come la Convenzione di Istanbul.

I deputati hanno dato il loro consenso in due votazioni separate, ma con ampie maggioranze.
Tra i voti favorevoli mancano però quelli delle delegazioni di Lega e Fratelli d’Italia. A quanto risulta dai tabulati infatti i parlamentari dei due partiti italiani si sono astenuti in maniera compatta in entrambe le votazioni. Che riguardavano una prima risoluzione che si occupava dell’adesione alla Convenzione nel settore pubblico e una seconda che invece si incentrava sulla cooperazione giudiziarie e sull’asilo. Entrambe le risoluzioni sono state votate da un’ampia maggioranza. S&d, Renew, Verdi, Sinistra, M5S e la grandissima parte del Ppe hanno votato a favore. Contrari i membri polacchi di Ecr (in Polonia da tempo si dibatte sull’eventualità di recedere dalla Convenzione) e parte del gruppo Id. Tra gli italiani Lega e FdI hanno optato invece per l’astensione, così come tre deputati di Forza Italia. Alessandra Basso e Susanna Ceccardi, della Lega, hanno invece votato contro.

La Convenzione di Istanbul, firmata proprio l’11 maggio del 2011 in seno al Consiglio d’Europa, è il primo testo internazionale che definisce giuridicamente la violenza contro le donne e stabilisce un quadro completo di misure legali e politiche per prevenire tale violenza, sostenere le vittime e punire i colpevoli. Nell’ottobre 2015 la Commissione ha adottato una tabella di marcia, in cui si concludeva che l’adesione dell’Ue alla convenzione è necessaria per la creazione di un quadro coerente per combattere la violenza contro le donne, migliorare la prevenzione per tutte le donne e offrire maggiore protezione e sostegno alle donne e ai bambini vittime di violenza e gruppi specifici di donne.
La Convenzione introduce regole vincolanti con l’obiettivo di «proteggere le donne contro ogni forma di violenza», tra cui le molestie sessuali, lo stalking e i matrimoni forzati. Propone una serie di interventi molto concreti per prevenire le discriminazioni di genere, per tutelare chi subisce abusi e per punire i colpevoli, tra le altre cose, diventando anche per molti governi un modello giuridico a cui guardare per sviluppare la propria legislazione sul tema.
La Convenzione individua le radici della violenza nei confronti delle donne nella disuguaglianza tra uomini e donne. Sostiene che questa disuguaglianza sia strutturale e abbia le sue radici nei cosiddetti “ruoli di genere”, i ruoli che tradizionalmente vengono assegnati a maschi e femmine. Ruoli che sono stati socialmente e storicamente costruiti e intorno ai quali si sono poi sviluppati una serie di stereotipi. La Convenzione precisa che con «il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini». I ruoli di genere, premette il trattato, contribuiscono e sostengono la violenza contro le donne.
Al momento attuale sono 6 i paesi membri che non hanno ancora ratificato la Convenzione: Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia. L’Italia lo ha fatto nel 2013, prima ancora che essa entrasse in vigore ufficialmente, fatto avvenuto l’anno successivo, nel 2014. Eppure la maggioranza di destra italiana, nella votazione del 10 maggio, si è accodata ai paesi dell’Est Europa, evitando di dare voto favorevole. Perché? La delegazione di Fratelli d’Italia ha cercato di spiegarlo, giustificandosi con una ragione di merito e una di metodo.