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SALVATORE TUTINO, ASSESSORE MANCATO AL CAMPIDOGLIO: “IL M5S MI SEMBRAVA UN’ARMATA BRANCALEONE”

Salvatore Tutino, magistrato della Corte dei Conti e per un mese candidato alla poltrona di Assessore al Bilancio del Comune di Roma, sorride leggendo su Repubblica le intercettazioni della sindaca Virginia Raggi, che in una chat del 28 settembre del 2016 comunica ai suoi: «Beppe dice che Tutankhamon meglio di no». E nell’intervista rilasciata ad Angelo Lupoli e pubblicata oggi su Repubblica ripercorre quei giorni.

«Tunino, Tudino ma mai nessuno mi aveva chiamato Tutankhamon». Tutankhamon era il soprannome che la Raggi aveva affibbiato a Tutino.
Quindi lei non è assessore per il veto di Grillo…

«Le cose sono un po’ più complicate. Oggi mi sono divertito a ricostruire quei giorni».
Divertito?
«Si, è passato un anno ed è meglio mettere un po’ di leggerezza in quei ricordi. Io il 27 settembre avevo già comunicato pubblicamente di non essere più disponibile. Ero sotto attacco da una parte del Movimento 5 Stelle nei giorni immediatamente precedenti».
Ma fino ad allore era pronto ad entrare in giunta?
«Ecco come sono andate le cose: l’8 settembre dovevo andare a cena con mia moglie, ma fui contattato da Andrea Mazzillo, allora capo dello staff della sindaca, che mi chiese la mia disponibilità».
E saltò la cena?
«Sì, saltò. Presi un taxi e andai in Campidoglio. Entrai da un ingresso secondario e fui introdotto in tutta segretezza in una stanza e mi ritrovai di fronte a quella che sembrava una setta massonica. Una ventina di persone tra cui il vice sindaco, Daniele Frongia, e gli assessori Linda Meleo e Paolo Berdini».
Che successe?
«Iniziò l’interrogatorio: è mai stato iscritto a un partito, casa pensa del reddito di cittadinanza, che giudizio ha dei Cinque stelle?».
Cosa rispose?
«Che mi sembravano un’Armata Brancaleone… ma mi corressi subito, in fondo ero un ospite».
Passò l’esame?
«Nei 15 giorni successivi non seppi più nulla. Poi mi richiamò Mazzillo e mi invitò a un incontro con la Raggi. Di nuovo clima di super segretezza: entrai da un ingresso secondario con un “passi” intestato a un generico dottor Rossi. Erano presenti Frongia e Salvatore Romeo, capo della segreteria politica».
Un altro interrogatorio?
«No, la Raggi fu molto gentile e mi disse che sarebbe stata contenta se avessi accettato l’incarico di assessore. Io chiesi garanzie sulla mia autonomia e anche se potevo contare su dei collaboratori. La risposta fu: sicuramente, ci sono 600 mila euro per le consulenze».
Quindi era fatta?
«Sì, la sindaca mi chiese di firmare l’incarico subito. Ma io dissi che mi sarei dovuto consultare con la famiglia».
Ma non firmo?
«No, la Raggi mi rassicurò: dica a sua moglie che avrà la stanza più bella del Campidoglio».
E poi?
«Il giorno dopo mi arrivò la lettera della segreteria della Raggi. Pensai: tanta segretezza e ora una lettera ufficiale. Sicuramente adesso tutti sapranno. E infatti fu così: iniziarono gli attacchi di Roberto fico e company».
Cosi decise di tirarsi indietro?
«Quando iniziarono gli attacchi nei Cinque Stelle nessuno mi difese. E il 25 settembre a Palermo Grillo disse: sulla giunta decide Roma. È chiaro che se siamo ancora a questo punto il mio nome è bruciato, pensai. Così il 27 settembre ufficializzai all’Adnkronos la mia indisponibilità. Comunque, con il senno di poi meglio così. Non avrei resistito».